Ho un debole per Paolo Caliari, detto il Veronese. Forse perché condividiamo la città natale (Verona appunto), o forse per la forza dei suoi quadri. Resta il fatto che quando ho creato la pagina facebook collegata a questo blog mi è sembrato quasi naturale utilizzare un dettaglio di un suo quadro come immagine di copertina. L’idea mi è venuta grazie ad un intervento di Philippe Daverio, che durante un discorso a Verona in occasione di un evento dedicato all’Amarone (il re dei vini rossi del Veneto) mi aprì gli occhi facendo notare come nel quadro fosse stato rappresentato il primo sommelier della storia dell’arte. Lo potete vedere, nel dettaglio, qui nel classico atto di annusare il vino, tipico dei degustatori di vino.
Il quadro, ricco di dettagli, fu la gioia ed il dolore del pittore veneto, ma partiamo dall’inizio. Nel 1571 un dipinto di Tiziano nel refettorio della chiesa di San Zanipolo (ovvero la chiesa di San Giovanni e Paolo nel sestiere di Castello a Venezia) andò distrutto. L’Ordine Domenicano che reggeva quell’importante luogo di culto – considerato il pantheon della città lagunare, data la grande quantità di dogi che sono ivi sepolti – si rivolse al Veronese per produrre una tela per sostituire l’opera tizianesca.
Il Veronese si mise all’opera e produsse una tela che raffigurava l’Ultima Cena: un’opera imponente, di circa 12 metri di larghezza per 5 di altezza. Per riempire l’enorme spazio a disposizione, il pittore per prima cosa pensò bene di introdurre delle architetture che risentono dell’influenza di un altro grande genio dell’epoca, Andrea Palladio. Ed infine riempire questi spazi di una infinità di figure: animali, bambini, paggi, giullari, militari armati di tutto punto, molti dei quali danno le spalle alla figura del Cristo al centro della composizione. Il priore della Basilica di San Zanipolo, visto il quadro si sentì turbato, o non volle problemi: non nuoce ricordare che all’epoca si era concluso da poco il Concilio di Trento, con il suo fervore di riforma e morigeratezza dei costumi. Il priore quindi per prima cosa intimò al Veronese di effettuare le modifiche al dipinto, che non furono accettate dall’autore: non restava che rivolgersi al Tribunale della Santa Inquisizione, che convocò il pittore in data 18 luglio 1573. Per nostra fortuna sono rimasti i verbali dell’interrogatorio e le risposte, a tratti timide a tratti furbe, che il Veronese diete in quella occasione.
Ei dictum: Sapete la causa perché sete constituito?
Respondit: Signori no
Ei dictum: Potete imaginarla?
R. Imaginar mi posso ben.
Ei dictum: Dite quel che vi imaginate
R. Per quello, che mi fu detto dalli Reverendi Padri, cioè il Prior de San Zuan Polo, del qual non so il nome, il qual mi disse, che l’era stato quì, et che Vostre Signorie Ill.me gli aveva dato commission ch’ei dovesse far far la Maddalena in luogo del un Can, et mi ghe risposi, che volentiera averia fatto quello et altro per onor mio e del quadro; ma che non sentiva che tal figura della Maddalena podesse parer che la stesse bene per molte ragioni, le quali dirò sempre che mi sia dato occasion che le possa dir.
[…]
R. Noi pittori ci pigliamo la licenza che si pigliano i poeti e i matti, e ho fatto quelli dui Alabardieri uno che beve, et l’altro che magna appresso una scala morta, i quali son messi là, che possino far qualche officio parendomi conveniente che’l patron della casa che era grande e richo, secondo che mi è stato detto, dovesse aver tal servitori.
[…]
Ei dictum: Chi credete voi veramente che si trovasse in quella Cena?
R. Credo che si trovasse Cristo con li suoi Apostoli; ma se nel quadro li avanza spazio io l’adorno di figure, secondo le invenzioni.
Ei dictum: se da alcuna persona vi è stato commesso che Voi dipingeste in quel quadro Todeschi et buffoni et simili cose.
R. Signori no. Ma la commission fu di ornar il quadro secondo mi paresse, il quale è grande et capace di molte figure, sì come a me pareva
[…]
R: Signor Illustrissimo che non lo voglio defender; ma pensava di far bene. Et che non ho considerato tante cose, pensando di non far disordine nisuno, tanto più che quelle figure di Buffoni sono di fuora del luogo dove è il nostro Signore.
L’audizione dinnanzi alla Santa Inquisizione si concluse con l’obbligo, da parte del pittore, di emendare il dipinto dalle scene più inappropriate, si presume a costo della scomunica (che in uno stato dove le commesse maggiori venivano dalle chiese e dagli ordini religiosi significava praticamente un suicidio commerciale). Il Veronese aveva tre mesi di tempo per compiere le correzioni del caso, e si incamminò verso la sua casa in salizada San Samuele nel sestiere di San Marco. Mentre camminava tra calli e campielli della città ebbe l’illuminazione: sarebbe bastato cambiare il nome del quadro per smettere di incorrere nelle ire dell’Inquisizione. Preso in mano un vangelo, Paolo trovò quello che faceva al caso suo:
“Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui (Levi, n.d.R), molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: “Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?”. Avendo udito questo, Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”.
Paolo propose alla Santa Inquisizione il cambio di titolo dell’opera: l’Ultima Cena divenne Il convitto in casa di Levi (come è scritto su una balaustra del dipinto). Filologicamente coerente con le Sacre Scritture (per la precisione i versetti 15-17 del vangelo di Marco), la decisione soddisfò il tribunale veneziano che lasciò cadere le accuse e smise di indagare sull’opera di San Zanipolo.
PS: il dipinto attualmente si trova alle Gallerie dell’Accademia, Dorsoduro, Campo Della Carità, 1050, 30123 Venezia VE.
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