In Fondamenta degli Incurabili, Brodskij ha parlato di suprema beatitudine e a Venezia questa è la condizione cui aspiro. La troverò mai? Vado spesso alla sua ricerca, soprattutto di notte. Brodskij descrive notti di vento. «Prima che la mia retina sia in grado di registrare alcunché, le mie narici vengono toccate da quello che per me è sinonimo di felicità. L’odore delle alghe marine» dice. «Per alcuni può essere l’erba appena tagliata o il fieno; per altri, gli aromi natalizi degli aghi di pino e dei mandarini. Per me sono le alghe marine sotto zero – un po’ per gli aspetti onomatopeici di un nome che associa in sé il mondo vegetale e quello acquatico, un po’ per la vaga incongruenza e il nascosto dramma subacqueo che questo nome comporta. Ognuno si riconosce in certi elementi; al tempo in cui aspiravo quell’odore sui gradini della stazione i drammi nascosti e le incongruenze erano, decisamente, il mio forte».
Le mie esplorazioni non sono cambiate nulla da quando le folle di turisti si sono volatilizzate. Alcuni veneziani che conosco si dicono felici che il virus abbia attraversato la città. Per me, che il virus ci sia o meno fa lo stesso. Alla città deserta sono abituato. Sono un camminatore notturno.
La prima volta che sono arrivato qui era pomeriggio – al tempo Venezia era la tappa di un viaggio, ora ci passo almeno la metà dell’anno. […] Io presi la notte, o meglio la notte prese me. La preferii al giorno. […] È così che ci siamo conosciuti, la città ed io. Nel buio. E le cose negli anni non sono cambiate: per me Venezia è soprattutto notte. La stagione non conta più. Inverno, primavera, estate, autunno; e poi ancora inverno. […]
A Venezia vivo entrambe le condizioni allo stesso tempo: provo la serenità del centro e l’infelicità della periferia, e le notti sono come i mattini ( c’è davvero differenza tra la luce tagliente dei lampioni, che rende gli angoli in ombra nascondigli per demoni, e la luce terribile dell’alba, che svela l’ingenuità di queste fantasie, di queste speranze?) […] A Venezia, chi di notte scende nelle strade vuote si convince che la città è sua, e quando incontra qualcuno fa finta che questi non esista, che sia un’allucinazione, perché non vuole dividere con nessuno questo dominio incontrastato.
Il testo qui riportato è di Jacopo La Forgia ed è apparso
sul numero 5 di Nuovi Argomenti.
Jacopo La Forgia, nato a Roma nel 1990, è fotografo e scrittore.
Nuovi Argomenti è la rivista fondata nel 1953 da
Alberto Carocci e Alberto Moravia.
Le foto sono di Pietro Marini, cioè io.
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