Nella fotografia, di cui mi diletto da qualche anno, sono arrivato a ritenere che ci siano degli artisti che influenzino il tuo lavoro anche se non hai mai approfondito il loro lavoro.
Penso a nomi come Luigi Ghirri, che per la mia generazione è un mito venerato come una divinità. Ma penso anche a nomi come Henri Cartier-Bresson. D’accordo, ho scomodato due dei più grandi fotografi del novecento, forse avrei dovuto volare più basso ma credo che quando si tratti di lasciarsi influenzare sia lecito che a farlo siano dei nomi riconosciuti a livello interplanetario.
I più sgamati tra coloro che leggono questo blog (i famosi quattro lettori di manzoniana memoria) saranno a conoscenza del concetto di “momento decisivo” reso celebre per l’appunto da HCB.
Codificato dall’autore nell’introduzione del suo libro fotografico “Images à la suvette” del 1952 è diventato noto a livello mondiale grazia alla pubblicazione in inglese ad opera della casa editrice Simon&Schuster che titola la pubblicazione con il titolo “The decisive moment”.
Nella prefazione si leggono delle definizioni che sento particolarmente mie, che credo contraddistinguano il mio stile fotografico e che ho sviluppato prima di conoscere il pensiero e l’opera di Cartier-Bresson, ma che in un certo senso sono state influenzate dalla sua opera.
“Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere”
Lunedì 31 ottobre 2022 ho avuto una epifania, ho capito sulla mia pelle cosa intendesse Cartier-Bresson con la frase “È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore”.
Mi trovavo a Venezia, dove sono tornato dopo cinque mesi di assenza. Ero sotto il porticato delle Procuratie Nuove, davanti al Caffè Florian. Si è trattato di una frazione di secondo, stavo andando a sbattere addosso a due persone che – non ho ancora capito perché – si stavano accendendo uno la sigaretta dell’altro.
Ho sempre la macchina fotografica legata al polso, l’ho presa, ho scattato completamente alla cieca, non ho guardato l’inquadratura, i settaggi della macchina, niente. Ho preso la macchina e ho scattato. Ero convinto di non aver scattato nulla di interessante. Ho chiesto ai due se potessero rimettersi in posa con gli accendini accesi ma hanno detto “no grazie”. Poi ho riguardato le foto, deluso dalla sicurezza di aver perso l’occasione di uno scatto che sarebbe stato – lo dico senza modestia – uno degli scatti migliori che abbia mai fatto.
Invece il primo scatto, quello alla cieca, era perfetto. Ero riuscito ad allineare mente, occhi e cuore in 1/200 di secondo. Questa è, per quello che ho capito, la mia idea di fotografia. Queste sono le foto che voglio fare. Come dice sempre Henri Cartier-Bresson nella prefazione: “La fotografia è una mannaia che coglie nell’eternità l’istante che l’ha abbagliata”.
Ecco in sostanza cosa è per me il “momento decisivo”: ed è tanto più gratificante nel risultato quanto è inatteso nella sua realizzazione. Sono grato ai due soggetti nella foto (che ho poi scoperto essere due musicisti dell’orchestra del Florian) che mi abbiano negato il secondo scatto, quello che sarebbe stato in posa. Credo che il risultato finale non mi avrebbe fatto capire tante cose come me le ha fatte capire uno scatto tanto inaspettato ma che poi si è rivelato un buono scatto.
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