Ha fatto il giro del mondo la notizia del ritrovamento dei mosaici romani in un vigneto nel comune di Negrar di Valpolicella. Con il dottor Gianni De Zuccato, funzionario archeologo della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, che ha coordinato gli scavi, abbiamo parlato di come si è arrivati a questa scoperta, i primi riscontri storico-archeologici e il futuro del luogo.
La storia degli scavi.
«Alcuni mosaici erano stati rinvenuti in questi luoghi già nel 1887, con molto clamore: vi sono articoli entusiasti sulla stampa locale e pubblicazioni sulla rivista scientifica archeologica dell’epoca “Notizie degli Scavi di Antichità”» spiega De Zuccato. All’epoca la legislazione era differente: «Il proprietario del terreno su cui furono rinvenuti i mosaici era anche il proprietario di quanto vi trovava: quindi alcune parti dei mosaici, con molte belle figure, furono – come si dice in gergo – strappati e venduti al Comune di Verona, che da allora li ha esposti al Museo Archeologico al Teatro Romano». Passano i decenni, cambia la proprietà dei terreni e durante dei lavori agricoli tornano alla luce altre porzioni di mosaici: «Nel 1922, sotto la direzione dell’archeologa Tina Campanile, vengono alla luce altre porzioni di mosaico attigue a quelle del 1887. Nel frattempo era stata istituita la Soprintendenza ed era stata approvata una legge che tutelava i beni archeologici: si scava quindi un totale di circa 300mq e venne redatta una buona documentazione, con foto in bianco e nero, una pianta e un rilievo delle zone scavate, una relazione e viene pubblicato nuovamente un articolo su “Notizie degli Scavi di Antichità”». All’epoca la prassi prevedeva lo strappo e la musealizzazione dei mosaici, ma per cause non del tutto chiare ciò non avvenne: per qualche anno lo scavo rimase a cielo aperto e alla fine il proprietario ricoprì il tutto per poter – «giustamente» dice De Zuccato – disporre della sua proprietà. Passano gli anni, circa 50, e si perde la localizzazione esatta dei mosaici. «Nel 1975, durante uno scavo per la costruzione di una casa, sono stati rinvenuti altri mosaici. Nuovamente intervenne la sovrintendenza ma in modo abbastanza parziale: sono state fatte delle foto, una documentazione sommaria, ma anche qui lo scavo è stato richiuso. Si può dire che la parte scavata nel 1922 per un secolo non è stata più toccata». Poi al dottor De Zuccato viene affidata la tutela di quella zona della Valpolicella dove sapeva essere presenti importanti tracce romane, e dopo un sopralluogo «mi sono accorto che nelle vicinanze vi era una attività abbastanza rischiosa dovuta alla vitivinicoltura: era stata fatta una cantina e un garage per un bed & breakfast. Ho ritenuto che se non si intervenisse con una azione di tutela precisa si rischiava di perdere quello che era stato trovato un tempo». De Zuccato quindi ottiene un piccolo finanziamento dal Mibact, e si mette al lavoro.
Le nuove scoperte.
Quello che non è stato abbastanza chiaro dalle notizie apparse nei giorni scorsi è che la presenza dei mosaici era nota da più di un secolo. Il dottor De Zuccato e il suo team però iniziano l’indagine «nel punto in cui la tradizione diceva che c’era la villa, ovvero la parte più alta dove non c’erano tracce di mosaici». Con una serie di sondaggi mirati trova «alla profondità di 3 metri dei resti di pavimentazione in pietra, molto curate, che hanno lo stesso orientamento dei mosaici e che quindi possiamo dire con certezza appartengano alla stessa villa». Il dottor De Zuccato arriva quindi alla conclusione che le varie parti scavate nel corso di quasi 150 anni appartengono ad un unicum: la parte a mosaici era la zona signorile, la parte in pietra la zona di servizio. Forte di questa convinzione estende la ricerca nel podere attiguo: «Nell’autunno del 2019 abbiamo trovato altre strutture di servizio legate alla villa e una parte di mosaico che “combaciava” perfettamente con il pezzo ora esposto al Teatro Romano». Forte di questa convinzione, De Zuccato e il suo team si dedicano alla zona della villa con i mosaici, per comprenderne l’estensione. Siamo a febbraio 2020, e a causa del coVid-19 per due mesi tutto si congela. Con l’allentamento della quarantena il team si rimette al lavoro e la notizia fa per l’appunto il giro del mondo, in un momento in cui di belle notizie c’è estremo bisogno. «Ottenute tutte le autorizzazioni abbiamo scavato all’interno di un vigneto, lungo i filari, e abbiamo avuto conferma della presenza di mosaici in buono stato di conservazione, di qualità notevole e dai colori ancora nitidi», anche se quanto visto è ancora molto poco rispetto alla reale estensione dei mosaici.
La datazione e la proprietà.
«La collega Federica Rinaldi ha studiato i mosaici sulla base delle foto del 1922 e sulla base di quelli che sono i tre pannelli conservati al teatro romano e ne ha fatto una ipotesi di datazione su base stilistica: la datazione è molto ampia, si va dal 250 d.C al 350-400 d.C». Durante gli scavi succedutisi negli ultimi 130 anni sono state rinvenute delle monete, che purtroppo non aiutano a ridurre l’arco cronologico della datazione: «sono state rinvenute una serie di monete, una addirittura del secondo secolo, e altre di epoca costantiniana, mentre noi abbiamo trovato una sola moneta che risale alla metà del terzo secolo dopo Cristo». L’unico modo per avere una datazione più precisa della villa sarà quello delle indagini stratigrafiche: «Questo può voler dire che i mosaici potrebbero essere un intervento di abbellimento piuttosto tardo ma potrebbe essere – col condizionale – che l’impianto della villa sia più antico, speriamo di poterlo appurare con uno studio stratigrafico, sempre se sarà possibile». Dallo stile dei mosaici poi ci si può fare anche un’idea del proprietario – o uno dei proprietari – della villa: «Chi ha analizzato i mosaici ha visto nei disegni una volontà di rappresentare il potere di Roma, il potere imperiale: ciò significa che il proprietario della villa era sicuramente molto ricco, e non si esclude che potesse avere anche qualche incarico pubblico magari nella vicina Verona».
Il futuro.
La parola d’ordine è “musealizzazione”: «Il progetto che speriamo di poter portare avanti prevederebbe lo scavo di almeno di una ampia porzione – se non di tutta – la villa: questo vuol dire che poi sarà necessario agire con degli interventi conservativi sui resti e soprattutto sarà necessario creare una copertura a protezione dagli agenti atmosferici. Il punto di arrivo ideale sarebbe quello di restituire alla collettività un bene che è di tutti; perché io credo appunto in questa archeologia pubblica in cui la popolazione possa riappropriarsi e usufruire dei beni pubblici: penso che anche per chi non è del mestiere trovarsi di fronte ad una realtà così antica di centinaia di secoli sia una cosa molto emozionante. per me è come entrare in una macchina del tempo, è una umanità che sento molto profondamente».
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